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«Le risorse del Recovery Fund non devono essere utilizzate per nuove carceri, ma per un nuovo sistema penitenziario». È la parola d’ordine di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che ha introdotto durante la presentazione del XVII rapporto sulle carceri dal nome “Oltre il virus”. «Bisogna investire in risorse sulle misure di comunità – ha osservato Gonnella -, perché hanno solo un terzo delle risorse che ha a disposizione l’amministrazione penitenziaria. È strategico visto l’impatto che ha sulla lotta alla recidiva e su prospettive di integrazione sociale. Bisogna investire anche in termini di risorse umane, sia perché c’è bisogno quantitativamente di direttori, educatori, poliziotti, mediatori, sia perché c’è bisogno di giovani, nuova energia umana nell’amministrazione penitenziaria che proviene dai luoghi dello studio e delle passioni». Sempre il presidente di Antigone aggiunge la terza risorsa che deve essere investita: «C’è bisogno di modernizzazione, non è possibile che in alcuni casi, ancora oggi, non vengano garantiti i diritti allo studio o all’affettività per mancanza di strumenti. Il carcere non può essere premoderno, mentre il mondo di fuori viaggia verso la post modernità». Percorsi trattamentali e formazione del personale A far da eco è Mauro Palma, il garante nazionale delle persone private della libertà, che è intervenuto durante la presentazione. Riferendosi alle misure alternative ha detto chiaro e tondo che, quando si propone di ampliarle, bisogna soprattutto elencare soldi e strutture, «altrimenti è meglio tacere, perché ci vuole un discorso – osserva il Garante - di materialità e risorse». Non solo, Palma aggiunge che bisogna incidere su due aree. Quello dei detenuti e trattamento, quando ad esempio è difficile poter parlare di rieducazione dove c’è l’ostatività che preclude tali possibilità. Oppure, solo per esempio, «quando una persona viene spostata da un carcere all’altro, cambiano le regole e ciò preclude il percorso trattamentale di un detenuto». La seconda area dove poter incidere, sempre secondo il Garante, è la continua formazione del personale penitenziario. L’aspetto della formazione deve essere soprattutto culturale.Sempre a proposito delle misure di comunità, è intervenuta anche Gemma Tuccillo, il capo del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Ricordiamo che tale dipartimento estende la sua competenza sull’intero mondo dell’esecuzione penale esterna. «In merito alle misure di comunità – spiega la dottoressa Tuccillo -, sono d’accordo sull’importanza dell’investimento sia in termini di risorse economiche, sia di quelle umane. Stiamo lavorando tanto, credendoci, con gli uffici dell’esecuzione penale esterna e il provveditorato. Abbiamo avuto l’affiancamento riassicurante e gratificante da parte della procura generale della cassazione e della cassa delle ammende che ci sostiene sul profilo materiale». Ma aggiunge il tasto dolente che sono pochi, nonostante abbiano avuto una «iniezione sostanziosa di assistenti sociali». Il capo del Dap Petralia: la guida per tutti è l'articolo 27 della Costituzione È intervenuto anche il capo del Dap Bernardo Petralia che ha chiarito il discorso vaccinazione della popolazione penitenziaria dove non è possibile uniformarla a causa delle competenze regionali e anche dal fatto che la sanità non è competenza dell’amministrazione penitenziaria. Ma, per quanto riguarda le criticità del sistema penitenziario, ha osservato: «Non si finisce mai di capire fino in fondo i disagi per cui intervenire e su cui invece è impossibile farlo, magari in attesa di una riforma legislativa. Noi facciamo tutto quello che viene rimesso dalla legge e quando parliamo di leggi, l’articolo 27 della Costituzione è la guida che deve accumunare tutti: noi del Dap, Antigone stesso, sindacati e poliziotti». Sovraffollamento e suicidi: i dati più allarmanti Veniamo ora ai dati più significativi emersi dal rapporto di Antigone “Oltre il virus”. Come ha anche sottolineato Michele Miravalle durante la presentazione, nell’anno 2020 c’è stato il numero più grande dei suicidi e dove l’età media scende sotto i 40 anni. Cresce anche il numero dell’autolesionismo: su ogni 110 persone detenute, 24 sono i casi. Il dato sale sulle carceri più sovraffollate. A proposito del sovraffollamento, i numeri nell’ultimo trimestre (dicembre 2020 – marzo 2021) sono tornati a salire. Lenti ma inesorabili. Nonostante siamo arrivati ai numeri del 2015, e questo grazie all’intervento dei magistrati di sorveglianza, il tasso di affollamento è oggi pari al 106,2%. Posto però che la stessa amministrazione penitenziaria riconosce formalmente che «il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato», e che presumibilmente i reparti chiusi riguarderebbero circa 4 mila posti, il tasso di affollamento effettivo, seppur non ufficiale, va a raggiungere il 115%. Guardando alla composizione anagrafica delle persone detenute si evidenzia come permangano in carcere, nonostante le disposizioni che consentono la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni, ben 851 persone che al 31 dicembre 2020 avevano più di 70 anni (erano solo 350 nel 2005). Una parte di loro è in regime di alta sicurezza o in 41-bis. Sono invece 9.497 gli infra-trentenni, una popolazione giovane che dovrebbe spingere l’amministrazione a organizzare un piano di azioni educative, scolastiche, culturali e di avviamento al lavoro che tenga conto della loro giovane età. Solo un detenuto su dieci ha la laurea o una licenza di scuola media superiore.Crescono invece le pene lunghe e gli ergastolani, di pari passo diminuiscono i reati più gravi e gli omicidi. Ben 19.040 sono i detenuti con un residuo pena inferiore ai tre anni, dunque potenzialmente ammissibili a una misura alternativa alla detenzione - va sottratta quella quota sottoposta a divieti normativi in ragione del reato commesso. Se solo metà di loro ne fruisse, Antigone osserva che avremmo risolto parte del problema dell’affollamento carcerario italiano.