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La semplice richiesta del pm non basta: per acquisire i tabulati è necessaria l’autorizzazione di un giudice terzo. Potrebbe rivoluzionare il modo di fare indagini in Italia la decisione della Corte di Giustizia europea, che lo scorso 2 marzo si è pronunciata negativamente sulle norme dell’Estonia, stabilendo la necessità di un «controllo indipendente» che preceda qualsiasi accesso ai dati personali, salvo situazioni di urgenza debitamente giustificate, «nel qual caso il controllo deve avvenire entro termini brevi». La decisione, spiega al Dubbio Giorgio Spangher, professore emerito di diritto processuale penale alla “Sapienza”, richiede ora un adeguamento della legislazione italiana. Perché anche se la sentenza riguarda l’Estonia, i principi della Corte si applicano a tutti i Paesi della Ue. E le prove acquisite con tale metodo, dunque, rischiano di essere illegittime. Professore, la sentenza apre una discussione interessante dal punto di vista delle garanzie processuali. Ce la spiega? La Corte di Giustizia, interpretando alcuni articoli del Trattato di Nizza e, soprattutto, alcune direttive europee in tema di tutela della privacy e dei dati personali, si è chiesta entro quali limiti siano acquisibili e da chi i dati esterni del traffico telefonico. Quei dati permettono di sapere quante volte ho parlato al telefono e con chi, dove mi trovassi, dove mi sono spostato eccetera. Dati esterni che dunque descrivono, in qualche modo, la mia persona e i miei comportamenti e che possono essere utilizzati in funzione di prova penale. Nel caso estone, la sentenza della Corte di Giustizia fissa alcuni principi. A partire dal fatto che non può essere il pubblico ministero a disporre l’acquisizione di tali dati. Per quale motivo? Per quanto il pm sia un organo imparziale e possa svolgere anche attività a favore dell’imputato, ciò non gli attribuisce quel ruolo di garanzia e di terzietà che invece è necessario in materia di tutela dei dati personali. Accedere ai tabulati significa conoscere tutto di una persona e il pm non è ritenuto, stando a questa sentenza, organo di garanzia. Ciò in quanto, secondo la Corte, l'autorità incaricata di tale controllo non deve essere coinvolta nella conduzione dell'indagine penale, come invece lo è il pubblico ministero. Deve essere quindi un organo indipendente e nel caso del processo penale non può che essere un giudice. Un altro aspetto è: si può fare questa attività di acquisizione dei dati per tutti i reati? Qui entra in campo la logica del bilanciamento. Noi abbiamo diritti individuali, come il diritto alla privacy, che prevale sull’esigenza di accertamento di reati a condizione che ci sia una proporzione. Ovvero: io ho i miei diritti, ma anche lo Stato che vuole accertare dei reati ha i suoi diritti. Quindi, quando si tratta di gravi reati, come criminalità organizzata, terrorismo, eccetera, le esigenze collettive prevalgono sui diritti individuali. Ma se si tratta di reati minori, allora prevale il mio diritto alla privacy e lo Stato deve trovare altri strumenti per accertare eventuali responsabilità. C’è, quindi, un principio di proporzione nell’uso dello strumento ed è necessario capire per quali reati, quali fini, sulla base di quale presupposti e per quali soggetti tali dati vengano acquisiti. Inoltre, un’altra cosa che emerge è che il principio enunciato dalla Corte va rispettato a prescindere dalla quantità di dati acquisita o dal periodo preso in considerazione. Come funziona attualmente nel nostro Paese? Nel 1998 le Sezioni Unite avevano stabilito che, effettivamente, per acquisire i tabulati c’era bisogno dell’autorizzazione di un giudice. Nel 2000, invece, le cose sono cambiate: da allora il pm può farlo senza passare da un giudice e può farlo per tutti i reati. Naturalmente ci sono sentenze che fissano qualche limite e qualche criterio, però quello che resta è che non c’è una soglia di legge, non c’è una richiesta al giudice, non c’è nulla di ciò che la sentenza richiede con riferimento all’Estonia. E ora cosa cambia per noi? Questa sentenza stabilisce che acquisire i tabulati senza un’autorizzazione terza significa produrre materiale inutilizzabile. È una questione che riguarda l’oggetto della prova, perché quel materiale entra nel processo. Che ne facciamo di questa sentenza? Probabilmente non sarà di immediata applicazione per l’Italia, perché a differenza della giurisprudenza Cedu le sentenze della Corte di Giustizia hanno una portata diversa. Riguardano il caso concreto. Ci sono due alternative: l’Italia, per un verso, dovrebbe cambiare la legge, adeguandosi agli orientamenti della Corte di Giustizia. Quella è un’interpretazione del diritto europeo e non dobbiamo dimenticare che abbiamo una sovranità limitata, abbiamo ceduto una porzione della nostra sovranità all’Europa. Ci sono delle norme che tutelano la privacy e la riservatezza che sono contenute dentro al Trattato di Nizza. Quindi a questo punto quella giurisprudenza, quelle linee che sono state individuate, valgono anche per noi. Se non dovesse intervenire il legislatore, o comunque prima che intervenga, l’alternativa è che qualcuno sollevi una questione di legittimità costituzionale in violazione dell’articolo 117, che ricorda i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. E si potrebbe chiedere l’applicazione di quella norma, quanto meno per le attività future. Quale crede che sia la soluzione migliore? A mio parere sarebbe opportuno un intervento del Parlamento, in quanto al momento ci troviamo in una condizione di violazione del Trattato di Nizza. Però per risolvere il problema è necessario capire quale sia la soglia di gravità che consente di acquisire i tabulati. Parlare di criminalità organizzata o terrorismo significa parlare di categorie. E come si potrebbe fare? Probabilmente applicando le norme delle intercettazioni anche ai tabulati. Ovvero: i reati che per i quali sono consentite le intercettazioni saranno quelli per i quali sarà possibile richiedere i tabulati. Si porrà un problema sulla legittimità delle attività fatte prima della sentenza della Corte. L’attività svolta prima della sentenza secondo quella modalità non è contra legem, perché era previsto dalle norme. Ma da domani bisognerà proporre una modifica sul punto. Se un'eventuale questione di legittimità venisse accolta, probabilmente potrebbe travolgere quanto fatto prima. Ma c’è bisogno o di una legge o di una sentenza della Corte costituzionale che ne dichiari l’illegalità. E poi c’è anche un’altra questione da porre: come si applica questa norma al procedimento di prevenzione? E all’attività di intelligence? Sono tutte domande alle quali dobbiamo trovare una risposta.