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Palamara
«Il mio libro non è una vendetta, è un racconto per i cittadini e per quei tanti magistrati ai quali ho voluto svelare il funzionamento del sistema che governa la giustizia italiana». Luca Palamara è affabile, sereno. Appare come una persona in cerca di un nuovo equilibrio dopo che la tempesta ha travolto tutto: affetti, lavoro, stile di vita. Ha tenuto a parlare col nostro giornale dopo un articolo di chi scrive nel quale, tra le altre cose, si chiedeva una cosa semplice: perché solo ora? Perché Palamara ha parlato e svelato il “Sistema” solo dopo che quello stesso sistema lo ha espulso in modo brutale? Dottor Palamara, perché non dovremmo pensare che il suo libro sia una resa dei conti tra magistrati in lotta per conquistare fette di potere? Capisco che qualcuno possa pensare a una vendetta ma invito tutti a riavvolgere il nastro e fermarsi al giorno in cui io ho chiesto di essere ascoltato dall’Anm. Avrei voluto discutere di questo ma in quel momento ho capito che non volevano che io parlassi. Semplicemente non dovevo aprire bocca. Quando poi sono stato ammesso a farlo ho trovato di fronte a me solo un centinaio scarso di persone, la quasi totalità dei quali appartenenti peraltro alla corrente di Area, scarsamente interessate a quello che avevo da dire ritenendomi oramai un diverso da loro. L'istantanea dell’hotel Champagne (il famigerato albergo nel quale Palamara incontrò Luca Lotti e Cosimo Ferri per decidere la poltrona della procura di Roma) era ancora troppo fresca? Probabilmente sì. Fatto sta che mi tolsero la possibilità di parlare, di spiegare, di aprire una discussione che avrebbe potuto essere utile per tutti. A quel punto ha deciso di vuotare il sacco? Decisi di iniziare a parlare dopo che sulle mailing list dei magistrati circolò la lettera di una collega che mi chiedeva spiegazioni. Pensando di infierire quando oramai ero caduto in disgrazia mi ha però dato l’opportunità di fare esattamente quello che volevo fare: spiegare. Se non sbaglio la collega le chiese se in questi anni avesse fatto il magistrato oppure il “politico”... In quel periodo, naturalmente, ero molto concentrato a organizzare la mia difesa ma ad un tratto scoprii che mi avevano cambiato il calendario e lì capii che qualcosa all’interno della sezione disciplinare che doveva giudicarmi non andava. Una sensazione - per così dire - che si è di recente rafforzata quando è stato deciso di ammettere i testi nei procedimenti disciplinari a carico degli altri partecipanti all’hotel Champagne a differenza di quanto è capitato con me. Una scelta arbitraria e fuori da ogni regola. Per tutte queste ragioni e al fine di poter contribuire ad una palingenesi della magistratura ho deciso che era arrivato il momento di parlare, di raccontare tutto quel che sapevo sulla politicizzazione dei magistrati, sul potere delle correnti e su tutte le degenerazioni che colpiscono la giustizia. E così ho svelato il sistema delle nomine e messo a fuoco la battaglia tutta interna della magistratura sul collateralismo. Collateralismo? Sì, certo, è uno dei cavalli di battaglia delle correnti che non si riconoscono nel “massimalismo giudiziario”. Questo vuol dire che ci sono magistrati collaterali? Il tema del collateralismo dei magistrati con la politica fa parte dei libri di storia ed è la base di partenza per comprendere i riflessi di tale ideologia sui processi. Cambiamo argomento: come fa un’associazione come l’Anm, nata per fini sindacali e politici, a non fare politica? Quando l’Anm venne fondata, l’allora ministro della giustizia Orlando stigmatizzò la nascita di un'associazione che aveva chiari connotati politici. Insomma, parliamo di una discussione centenaria. È chiaro che la nomina di un procuratore, per esempio, deve tenere conto di merito e attitudini, come prevede la legge, ma nella scelta, di fatto, entrano in gioco valutazioni “non previste”... Ci faccia un esempio. Mettiamo il caso che io sia il presidente della V commissione del Csm (la Commissione per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, ndr). E mettiamo anche il caso che la scelta si restringa a due, tre magistrati, e non facciamo nomi altrimenti lei mi “accusa” di volermi vendicare. Lei pensa che quei tre non faranno di tutto per contattarmi? E badi bene che le parlo di un sistema e non di singoli casi. Torniamo alla vendetta: lei nega e dice che ha soltanto voluto raccontare i fatti. Ma lei ha una mentalità politica e sapeva bene dell’impatto deflagrante che il suo “racconto” avrebbe avuto nella magistratura... Ripeto, io volevo raccontare il Sistema a quelle centinaia di colleghi che ogni mattina si spaccano la schiena per far girare la macchina inceppata delle giustizia italiana. E, d’altra parte, la resa dei conti forse l’ha voluta chi, dal primo giorno, non ha voluto che raccontassi la mia versione dei fatti. Ma forse i nodi veri della giustizia si chiamano separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, prescrizione. Eppure nel suo libro non ne fa riferimento. Quello è un altro discorso. Ovviamente si tratta di temi centrali, decisivi e io stesso mi sono sempre considerato un riformatore. E se vogliamo entrare nel merito, posso dirle che la battaglia delle camere penali sulla separazione delle carriere è involontariamente favorita dalla stessa magistratura perché al nostro interno di fatto la separazione esiste già: ormai, nei fatti, è assodato che un pubblico ministero non diventerà mai giudice. E del resto molti giudici mettono in luce il fatto che il loro lavoro è assai diverso da quello degli inquirenti. A questo punto tanto vale affrontare il problema anche dal punto di vista ordinamentale. C'è una frase del suo libro che gela il sangue. Lei scrive che «se un procuratore ha un paio di aggiunti svegli, un ufficiale di Polizia ammanicato con i Servizi segreti, un paio di testate giornalistiche amiche e un giudice intimo, allora ha più potere del Parlamento». Conferma di aver conosciuto casi del genere? Certo, è una realtà di fatto. E cosa pensa delle “esternazioni” del procuratore Gratteri? Non le sembra che utilizzi un po’ troppo la sponda dei media? Nel corso di una conferenza stampa disse di voler smontare la Calabria come un lego. Le sembra un linguaggio appropriato a un procuratore della Repubblica? Il tema conferenza stampa è un tema grave ma posso dire con certezza che non riguarda solo Gratteri. Una cosa è il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, altra è l’abitudine di presentare gli arrestati come colpevoli senza neanche aver iniziato un processo… Questa deriva mediatica delle procure l’ha contrasta anche quando era presidente dell’Anm? Nei limiti del possibile ho cercato di arginarla. Così come ho contrastato l’idea che le intercettazione diventino gossip. E a proposito di Chat, vuol sapere l’ultima? Dica pure. Ho appena saputo che le mie chat sono diventate un elemento di valutazione per i candidati agli incarichi direttivi. Si spieghi meglio. La legge prevede che un candidato debba essere valutato sulla base dell’attitudine e del merito. Nelle attuali valutazioni vengono incredibilmente inserite anche le mie chat. In questo modo un magistrato viene penalizzato per il solo fatto di aver interloquito con me. Io credo che così facendo il Csm stia abdicando al suo ruolo basando le sue decisioni sul pregiudizio legato alla mia persona. In ogni caso c’è già un caso specifico di cui parlano tutti i resoconti consiliari in queste ore: la sfida per la procura di Salerno tra Alfano e Soviero è avvenuta proprio sulla base di quelle chat. Ma la legge non vieta certo di parlare con Palamara e in ogni caso c’è un grave problema nella divulgazione delle mie chat. Basta consultare le pratiche di archiviazione della prima commissione: chiunque può accedere sul sito del Csm e leggerne tranquillamente il contenuto senza che le stesse siano in alcun modo secretate o omissate, come invece richiederebbe una corretta applicazione della legge sulla privacy, anche quando riportano per intero messaggi privati tratti dal mio cellulare che nulla hanno a che vedere con i reati che mi vengono imputati. Per questo, dopo essermi consultato con esperti giuristi in materia ho deciso di agire in sede risarcitoria nei confronti del Csm per la indebita pubblicazione del contenuto delle mie chat. È accaduto spesso a molti cittadini... Ma infatti ho lottato contro questo sistema. Dai tempi dei furbetti del quartierino molte cose sono cambiate sia a livello di giurisprudenza europea che di normativa consiliare, ma soprattutto di consapevolezza nelle procure che le intercettazioni che non hanno attinenza con il reato e contengono informazioni lesive della reputazione dell’indagato e dei terzi non devono essere depositate agli atti del processo. Ripeto, io non dico che non debbano essere utilizzate, ma questa divulgazione capillare da parte del Csm è intollerabile. A questo punto davvero mi chiedo, come mai non è mai stata fatta una discussione sulle chat che riguardano i componenti del Consiglio superiore della magistratura?