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«Bon capudannu e bon capu di misi / speramu l’annu novu sia felici / bon capudannu a tutti i carcerati / chi alli galeri siti segregati / speramu mu tornati in libbertà / ‘nte vostri casi gioia e serenità». Sono queste le strofe incriminate di Teresa Merante, la calabrese “cantante della malavita”. Quelle che stanno suscitando un putiferio. A dicembre 2020, Nicotera, ridente paesino della costa tirrenica in provincia di Vibo Valentia, si veste un po’ a festa, di luci e addobbi, forse per alleviare un Natale già triste per via della pandemia. L’iniziativa ha successo e le foto della “via del vischio”, un breve tratto del corso che attraversa il centro del paese illuminato e addobbato, fanno il giro della regione. Diverse persone, famiglie e bambini, vengono a vedere, a fare i selfie – vicino la slitta di luci, o la stanza con le pareti di candeline luminose nella piazzetta del mercato. Il sindaco è contento. Teresa Merante vede le foto e decide di fare la location per la sua clip di capodanno a Nicotera. Telefona all’amministrazione, chiede il permesso di girare alcune scene con la sua troupe – permesso accordato. Viene, gira le scene, sistema il montato, manda nel suo canale YouTube – dove registra milioni di visualizzazioni per le sue canzoni. Passa qualche giorno e quella strofa – bon capudannu a tutti i carcerati – diventa la pietra dello scandalo. Ma che succede, a Nicotera – si fanno gli auguri agli ndranghetisti? Il sindaco corre ai ripari – lui non sapeva nulla, non aveva mai sentito la canzone, non aveva mai letto il testo; lui – è noto – è in prima fila nella lotta alla ndrangheta, chiede scusa perché nel filmato si vede che brinda con la cantante: sono stato ingannato. Se potesse, farebbe cancellare dal video-clip quella frase in coda: “Si ringrazia per la cortese ospitalità l’amministrazione comunale e il sindaco, dott. Giuseppe Marasco”. Il quale sindaco, che dottore non è ma ha sempre svolto con competenza e premura il suo lavoro di infermiere, aveva da poco partecipato a un evento con Nicola Gratteri, e si fa subito fotografare nel suo ufficio dove campeggia la foto di Falcone e Borsellino – tanto per mettere le cose in chiaro. Va detto: Nicotera è terra martoriata, come buona parte della Calabria. Ci sono stati tre scioglimenti del Consiglio comunale – benché non ci siano state mai iniziative penali nei confronti degli amministratori e in generale la questione è che “il contesto è mafioso”. Ma davvero basta un augurio ai carcerati – in un testo nel quale peraltro si fanno anche gli auguri “all’emigrati, chi sunnu ccchiù luntanu” e “a tutti i sufferenti e li malati” – per suscitare questa civica indignazione? Qualcuno dice – ma Teresa Merante non è come il papa che fa la messa di Natale a Rebibbia: ascolta le sue canzoni. Io ascolto le sue canzoni. Ce ne sono di una estrema ingenuità testuale e musicale – una sorta di neo-melodico su una trama di folk – e poi ci sono quelle “incriminate”: ‘U latitanti, ‘U capu di capi. «Li lupi quann’è ura comuncianu a gridari / na luci vascia vascia cumincia a lampeggiari. / Fuiti giuvanotti, chista è la polizia / sparati a tutta forza a sta brutta compagnia. / Nun aviti paura chi su’ quattru pezzenti / nui simu i latitanti, nui simu cchiù putenti». È la storia di Rocco Castiglione, latitante per anni, che Teresa Merante ha poi musicato. Peraltro sono storie che finiscono sempre male, li prendono tutti e languiscono in galera: “ciangiu nta sti quattru mura, ciangiu a la me mamma”. Non c’è redenzione – ma è come un destino che va percorso, fino in fondo. Le canzoni della malavita non sono un fenomeno recente – ancora negli anni Ottanta a ogni mercatino di paese c’era il banco con le cassette, ora c’è il video su YouTube. Ma sono radicate nella cultura popolare meridionale, nella sceneggiata napoletana, nel neo-melodico che si canta da Palermo a Napoli. Uno può chiedersi perché – ma questo è un altro discorso. E sarebbe come chiedersi perché tra i giovani neri andava fortissimo il gangsta rap o l’hip hop più violento – che le strofe della Merante sono acqua fresca.Un paio d’ani fa fece a sua volta scandalo una trap di un giovanotto di Rosarno – terra di ndrangheta – che si chiama Glock21 e canta cose tipo “A noi non ci fotte nessuno / noi siamo i numero uno”. Il video mostrava un gruppo di ragazze e ragazzi che in posti abbandonati si vestono e si muovono come “quelli americani”, buona parte dei quali aveva chi uno zio, chi un cugino, in galera o latitante. Anche loro, YouTube, migliaia di visualizzazioni: Non è il mondo che piace, ma, frate’, è il nostro mondo – così dicevano. Portiamo roba pesante addosso, abbiamo i borselli pieni – così dicevano. E si vedevano ragazzi con mitra, fucili, Glock21, l’orologio d’oro Gucci, il macchinone.C’è ora chi chiede una qualche iniziativa giudiziaria contro la Merante. Per quella “culturale” si sono già mossi i Sud Sound System, che si sentono oltraggiati che una musica salentina sia stata usata per queste cose. Per quella istituzionale ha già tuonato la presidente del Consiglio regionale pugliese, Loredana Capone. Qualcuno accuserà la cantante di “incitamento alla criminalità”? Per una canzone? Per una compilation? Dovremmo perciò censurare film come Il Padrino o il più recente The Irishman, perché incitano alla criminalità? Oppure, che so – le musiche di Nicola Piovani per Il camorrista di Giuseppe Tornatore, centrato sulla vita, benché romanzata, di Raffaele Cutolo? Dice – ma che c’entra, qui si parla di arte, di estetica e le canzoni della Merante invece sono sub-cultura. È questo l’approccio; a leggere i resoconti di un tentativo della cantante di “circoscrivere” l’accaduto – «l’occhio le scappa spesso sul testo che lei o altri hanno preparato allo scopo e legge in maniera non poi così disinvolta» – viene sempre in mente quanto, proprio pochi giorni fa, Corrado Augias diceva della Calabria: è una terra perduta, irrecuperabile.