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Rinviare la relazione Bonafede sulla giustizia a data da destinarsi. Potrebbe essere questa l’unica strada per mettere al sicuro il ministro e l’intero governo. O almeno è questa l’idea che comincia a circolare negli ambienti grillini dopo il fallimento dell’operazione responsabili. Al Senato i numeri sono troppo ballerini, soprattutto dopo il ciclone Gratteri che ha definitivamente allontanato l’Udc dal perimetro dei papabili volenterosi, per blindare la relazione. E senza un accordo certo con Matteo Renzi, nel frattempo rientrato nell’elenco non ufficiale degli interlocutori possibili, Bonafede si trasformerebbe in un bersaglio troppo facile da colpire. Ma impallinare il Guardasigilli - costretto per opportunità alle dimissioni in caso di bocciatura - equivarrebbe ad affondare l’intera corazzata, già provata dalla battaglia vinta per un soffio al Senato martedì scorso. Alfonso Bonafede non è infatti un grillino qualunque: capodelegazione M5S al governo, intimissimo di Luigi Di Maio e inventore del Conte premier. Praticamente un intoccabile. Così, l’inquilino di via Arenula si è trasformato in un’arma a doppio taglio, utilizzata dai renziani per costringere l’ex avvocato del popolo a trattare, in cambio della salvezza del ministro, e dallo stesso premier per obbligare i grillini a seguirlo sulla strada delle elezioni anticipate in caso di una bocciatura della relazione sulla giustizia e della conseguente fine del governo.
Per il Movimento sarebbe un'onta troppo grande da sopportare
Non che Bonafede possa contare su un convinto sostegno della base parlamentare movimentista. Anzi, sono in tanti, nel sottobosco pentastellato, a considerare il ministro uno dei maggiori responsabili dell’indebolimento del partito e a dichiararsi indisponibili a rischiare il proprio scranno per difendere il capodelegazione. Eppure, simbolicamente e politicamente, sacrificare il ministro, per i cinquestelle, sarebbe un’onta troppo grande da sopportare. Meglio trattare con chi c’è e rinviare la resa dei conti interna a momenti meno convulsi. Già, ma chi c’è in questo momento? I volenterosi si son dimostrati svogliati e persino i nuovi compagni d’avventura raccattati una settimana fa sembrano aver già voltato le spalle alla maggioranza. Per capire il clima basta infatti ascoltare le parole di Clemente Mastella, arruolatore di costruttori prima della messa all’angolo dell’Udc, che raffredda, e di molto, l’entusiasmo mostrato 72 ore prima. «Avverto la maggioranza che nei prossimi giorni avrà un problema», dice il sindaco di Benevento. «Se io fossi in Senato non voterei la relazione annuale del ministro della Giustizia Bonafede», annuncia Mastella, piazzando l’ennesima mina sotto la sedia di Conte. «La vedo dura e nulla vieta che possa essere messo da parte un ministro della Giustizia. Non mi piace questa forma di giustizialismo ad oltranza che è stata portata avanti da Bonafede. Su questo personalmente mi asterrei», aggiunge. È il segnale definitivo: la partita resposabili si è chiusa. Al presidente del Consiglio serve battere altre strade. E l’unica possibile porta ancora ad Italia viva, l’alleato “traditore” con cui il premier non avrebbe più voluto avere nulla a che fare. Pazienza se Alessandro Di Battista, tornato a sostenere Luigi Di Maio dopo la crisi di governo in nome dell’anti renzismo, la prenderà male. Il capo del governo, ma anche il ministro degli Esteri, non può legare la propria sopravvivenza politica al rispetto della linea ortodossa. E sa che alla fine anche il Pd ingoierà il boccone.
I renziani aspettano un'offerta conveniente
Non resta che provare. Rafforzare la maggioranza è ancora possibile, «i numeri ci sono», ma per farlo serve «un governo nuovo», avverte Bruno Tabacci il vero architetto dell’operazione salva Conte, nonché proprietario del pallottoliere di maggioranza dopo aver incontrato Di Maio per fare il punto della situazione. L’ex democristiano sa bene di cosa parla, non a caso riporta sul piatto del premier le “condizioni” poste da Italia viva per rientrare al governo, in un «governo nuovo». I renziani osservano compiaciuti le difficoltà di Conte e Bonafede ma non infieriscono, consapevoli, semmai, che anche per loro potrebbe essere l’ultima chiamata per uscire dall’angolo. Anzi, offrono un salvagente. Serve «una soluzione politica che abbia il respiro della legislatura e offra una visione dell’Italia per i prossimi anni», scrivono in una nota deputati e senatori di Iv, risedendosi di fatto al tavolo delle trattative. Perché dopo aver ottenuto la revisione del Recovery Plan e la cessione postuma della delega ai Servizi segreti, Matteo Renzi potrebbe anche accontentarsi di un Conte ter senza sgambetto al presidente del Consiglio ma con un peso maggiore nell’esecutivo. A queste condizioni potrebbe accettare di salvare Bonafede, come già fatto in passato. La scusa dell’eventuale giravolta, del resto, è già pronta e la dirama in anticipo il senatore renziano Leonardo Grimani: «Quella che si vota mercoledì è la relazione sull’anno appena trascorso e noi in questo anno siamo stati al governo con Bonafede. Quindi vanno fatte valutazioni di contenuto ma anche politiche perchè non possiamo scordare che eravamo al governo insieme». Ma per valutare ci vuole tempo. E se entro lunedì non si arrivasse a un accordo, a Bonafede non resterebbe che rinviare l’appuntamento con l’Aula.