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Se è vero che la gestione “corleonese” aveva esasperato la propensione di Cosa Nostra a ricorrere alla violenza, è anche vero che ne aveva contestualmente coltivato la vocazione imprenditoriale, consentendo in tal modo agli affiliati di acquisire preziose esperienze gestionali, creando e perfezionando meccanismi di condizionamento delle gare d’appalto bandite dagli enti pubblici, stabilendo legami ed intese con grandi imprese nazionali e regionali. Si intravvedeva una regia unica degli appalti. Un qualcosa di pericoloso, non solo per l’economia: era diventato un cavallo di troia per permettere a Riina di condizionare la politica. Uno strumento di potere abnorme. Falcone e Borsellino "pericolosi nemici" di Cosa nostra L’ipotesi che dietro le stragi mafiose ci sia stata la volontà di fermare le inchieste sui rapporti tra imprenditori e mafia rimane ancora a galla, confermata d’altronde nella sentenza n. 24/ 2006 della Corte di Assise di Appello di Catania e ribadita in Cassazione. Parliamo di una sentenza che riguarda esattamente i processi per le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Scrivono i giudici che Falcone e Borsellino erano “pericolosi nemici” di Cosa nostra in funzione della loro «persistente azione giudiziaria svolta contro l’organizzazione mafiosa» e in particolare con riguardo al disturbo che recavano ai potentati economici sulla spartizione degli appalti. Motivo della “pericolosità” di Borsellino? La notizia che egli potesse prendere il posto di Falcone nel seguire il filone degli appalti. Tale ipotesi è stata anche recentemente riportata nelle motivazioni della sentenza di secondo grado del Borsellino quater. Questo, però, in contrapposizione della motivazione della sentenza di primo grado sulla presunta trattativa Stato- mafia dove si legge che non vi è la «certezza che Borsellino possa aver avuto il tempo di leggere il rapporto mafia appalti e di farsi, quindi, un’idea delle questioni connesse». I fatti però sembrano dire altro. Non solo Borsellino, quando era ancora alla procura di Marsala, chiese subito copia del dossier mafia-appalti redatto dagli ex Ros e depositato nella cassaforte della Procura di Palermo sotto spinta di Giovanni Falcone, ma mosse dei passi concreti per indagare informalmente sulla questione, tanto da incontrarsi in caserma con il generale dei Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno per ordinargli di proseguire le indagini e riferire esclusivamente a lui. Mafia-appalti archiviata dopo la strage di Via D'Amelio Il dossier mafia-appalti fu archiviato dopo la strage di via D’Amelio. Dagli atti emerge che la richiesta, scritta nel 13 luglio 1992 dalla Procura palermitana, fu vistata dal Procuratore Capo e inviata al Gip il 22 luglio. L’archiviazione fu disposta il successivo 14 agosto dello stesso anno, con la motivazione «ritenuto che vanno condivise le argomentazioni del Pm e che devono ritenersi integralmente trascritte».Nel dossier compaiono diverse aziende che avrebbero avuto legami con la mafia di Totò Riina, comprese quelle nazionali. Tra le quali emerge anche il coinvolgimento di aziende enormi che erano quotate in borsa. Tra l’altro, lo stesso Borsellino, ebbe conferma del coinvolgimento di talune imprese durante l’interrogatorio del primo luglio del ’92 reso dal pentito Leonardo Messina. Dagli atti emerge chiaramente che alcune grosse aziende del nord, per prendersi gli appalti pubblici siciliani si sarebbero alleate con i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, legatissimi a Totò Riina. In ballo c’erano investimenti miliardari e relazioni fondamentali per il potere mafioso, che andavano quindi difese a tutti i costi.