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Uno degli interlocutori più autorevoli per discutere del rapporto tra politica e scienza, di vaccini, di comunicazione scientifica è sicuramente Elena Cattaneo, docente alla Statale di Milano e senatrice a vita.
Secondo Lei il vaccino anti- covid dovrebbe essere obbligatorio?
Da un punto di vista scientifico, ha poco senso discutere di ' obbligo' per un trattamento ancora non messo a punto e di cui quindi non conosciamo le caratteristiche. Nel 2017, in occasione di un mio intervento in Senato sul decreto che istituiva l'obbligo vaccinale, osservai che l'aver sancito un obbligo non può rappresentare un punto di arrivo, ma semplicemente la risposta più efficace ad uno stato di emergenza. Resto convinta che il vero traguardo l'avremo raggiunto quando, informando i cittadini su questo tema, ne avremo fugato i timori, almeno quelli più irrazionali, in modo da costruire un patto di fiducia tra scienza, istituzioni e società civile.
Come può uno Stato democratico conciliare la libertà di cura con la tutela della salute pubblica?
Ricordando sempre che la decisione spetta, in ultima istanza, alle istituzioni rappresentative, in quanto luogo proprio di organizzazione e tutela della cittadinanza. Ma in quanto tali, esse hanno il dovere di attrezzarsi per distinguere sempre meglio tra competenze e ciarlataneria, tra prove e inganni, per poi decidere sulla base dei dati disponibili. Una simile cinghia di trasmissione tra saperi e decisioni pubbliche offre a uno Stato democratico la possibilità di riconoscere e affrontare scenari anche complessi e dolorosi e di spiegare quelle decisioni di salute pubblica, come l’obbligo vaccinale, assunte per tutelare la salute collettiva, che non possiamo permettere sia messa a rischio da comportamenti individuali. In altri casi, serve fermezza per negare “trattamenti” ingannevoli camuffati da “libertà di cura” ( si ricordi il caso Stamina), poiché la “libertà di cura” a spese dello Stato non potrà mai trasformarsi nella pretesa individuale di trattamenti la cui efficacia non sia scientificamente comprovata.
Crede che oggi la sensibilità politica nei confronti delle questioni scientifiche sia cambiata?
Il rapporto scienza- politica non è mai definito una volta per tutte, ma si costruisce quotidianamente, con l’impegno di tutti. Quando la ricerca di consenso immediato è in contrasto con quanto la comunità scientifica afferma, il rischio che il decisore politico “deragli” da fatti e prove scientificamente verificati è sempre molto concreto. Potrebbe succedere di nuovo e presto, ad esempio, sulla sperimentazione animale, per la quale la legge italiana prevede dei divieti aggiuntivi rispetto alla normativa europea, in ambiti di ricerca e per studi che alcuni gruppi di pressione ( senza riscontro nella realtà) continuano a definire “inutili”. Se la loro applicazione, fino ad oggi rinviata a suon di relazioni ministeriali che certificano l'ovvio scientifico ( cioè che non si può fare a meno del modello animale), sarà portata a compimento, il nostro diventerà il Paese con le condizioni più arretrate e restrittive in tutta Europa. In altre parole, mentre tutto il mondo potenzia la ricerca per combattere la pandemia, l’Italia sembra dimenticare che per ottenere un vaccino – di cui pure gli italiani beneficeranno - sarà necessario passare attraverso la sperimentazione animale. La scienza non è un juke box dove possiamo scegliere di sentire solo quello che vogliamo, né si può accendere e spegnere a piacimento. Le evidenze scientifiche restano lì anche quando sarebbe più comodo ignorarle, c'è la realtà a ricordarcelo. Semplicemente, senza scienza non c'è futuro.
Qua è il suo giudizio sull'operato del Governo nell'affrontare questa emergenza sanitaria?
Si è trattato di uno scenario che non ha eguali in tempi recenti e che ha comportato decisioni pubbliche difficili su cui non credo sia utile la critica ' col senno di poi'. La pandemia ha anche fatto ' venire al pettine”, mi sembra, nodi già insiti da decenni nel Paese, come la pochissima familiarità della maggior parte dei cittadini o dei rappresentanti delle istituzioni con il metodo scientifico, o l’assenza di una prassi di consultazione abituale, non emergenziale, di cui il decisore politico possa avvalersi per avere pareri da parte di esperti competenti nei vari campi d’interesse. Quando un Paese non investe in cultura, ricerca e conoscenza rischia di trovarsi impreparato ad affrontare le emergenze. Ma, se la decisione “perfetta” è una pericolosa illusione, a farci ritrovare fiducia in un “patto sociale” che sembra diventare sempre più fragile non può che essere la piena assunzione di responsabilità, da parte del decisore politico, delle scelte fatte, che si rivelino giuste o sbagliate. Con la capacità di spiegarne le basi e gestirne le conseguenze, oltre alla prontezza e al coraggio, ove gli effetti non siano adeguati alle aspettative, di saper cambiare strada al più presto. Così come avviene nella scienza.
Come è possibile che anche dinanzi ad una pandemia globale ci sia qualcuno che la minimizzi o addirittura la neghi, come i negazionisti in piazza a Roma?
Prima di tutto non dare troppa importanza alla minoranza ' negazionista', ma “inoculare” in anticipo un'informazione basata su prove accertate e accertabili, quindi scientificamente verificate, anche dove questi gruppi sono più attivi, nei social network, senza dimenticare i canali di comunicazione classici. Questo potrà aiutare a costruire maggior fiducia nella scienza da parte delle persone cosiddette ' esitanti', molto più numerose degli “integralisti irrecuperabili”, ma confuse da una mole di informazioni contrastanti. Vari studi indicano anche come più efficace un approccio comunicativo che, anziché limitarsi a rimarcare gli effetti positivi dei vaccini, evidenzi i rischi per la salute dovuti alle malattie infettive che essi combattono. Senza mai porsi in maniera sfidante o correttiva, ad esempio provando a smontare la falsa convinzione che i vaccini causino l’autismo. In alcuni casi è risultato efficace mostrare alle persone immagini e racconti reali di bimbi che avevano quasi perso la vita perché i genitori avevano scelto di non vaccinarli.
Come pensa stia lavorando la stampa italiana in questo periodo sul tema covid?
In questi mesi c'è chi, anche nei media, non ha esitato nel rinfacciare agli studiosi - gli stessi quotidianamente contesi per interviste e dichiarazioni- la presunta “debolezza” del portare avanti ipotesi di ricerca diverse e talvolta contrastanti, come invece è naturale che accada nella scienza alle prese con un oggetto di studio sconosciuto. È significativo che quegli stessi media che oggi invocano “certezze” da anni trovino conveniente mescolare, nello stesso calderone di una malintesa par condicio comunicativa, prove e opinioni, studi e leggende, dati verificati e superstizioni. Per non parlare del ritornello della “scienza divisa” su argomenti dove nella comunità scientifica in realtà non vi è nessuna divergenza significativa. Mettere fatti e opinioni sullo stesso piano induce erroneamente molti cittadini a ritenere le teorie pseudoscientifiche affidabili tanto quanto i dati e le prove derivanti dall’applicazione del metodo scientifico.