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«Ai detenuti e agli internati è assicurata un'alimentazione sana e sufficiente, adeguata all'età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima». Così recita l’articolo 9 dell’ordinamento penitenziario. In carcere il diritto al cibo deve, o dovrebbe, essere contemplato. All’indomani della notizia che l’avvocato di Cesare Battisti, Gianfranco Sollai, ha presentato un reclamo segnalando la scarsità e la bassa qualità del cibo somministrato, subito si sono avvicendate polemiche trasversali. Da Matteo Salvini che scrive su Facebook «assassino comunista si lamenta del menù in carcere? Taci e digiuna, vigliacco», all’onorevole del Partito democratico Stefano Pedica che commenta: «Evidentemente, dopo essere sfuggito alla giustizia per anni, pensava di poter scontare l’ergastolo in un hotel a 5 stelle». Si ripete la retorica che i detenuti stanno quasi un albergo, perché mangiano e dormo gratis. Peccato che non sia vero. In realtà è il detenuto che paga. Infatti, secondo il nostro codice penale, è obbligato a rimborsare all’erario dello Stato le spese per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena, e risponde di tale obbligazione con tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri. Infatti, quando finisce di scontare la pena, arriva il conto a casa. Non si capisce, anche alla luce di questo, perché un detenuto non debba rivendicare il diritto al cibo sano e sufficiente. Nelle carceri italiane l’alimentazione è competenza esclusiva dell’Amministrazione Penitenziaria. Il ministero della Giustizia fornisce le cosiddette “Tabelle vittuarie”, degli elenchi di alimenti da fornire durante la giornata ripartiti in due versioni, una estiva ed una invernale. L’approvvigionamento degli alimenti viene fatto attraverso gare di appalto che forniscono il cibo durante tutto l’anno. La consegna è quotidiana, a causa della deperibilità di molti dei prodotti forniti. Nelle tabelle sono indicate anche la varianza settimanale dei cibi ed il numero dei pasti da fornire alle persone detenute. Alcune strutture penitenziarie hanno reso obsolete le cucine (perdendo posti di lavoro retribuiti a detenuti) e si sono avvalse di catering esterni, realizzando una spesa complessiva minore. E non di rado, accade anche che riducono così tanto i costi che il cibo non è sufficiente. Qualche anno fa, come riportato sul Dubbio, il Tar del Piemonte ha sospeso la gara indetta dal ministero della Giustizia relativa all’affidamento del servizio di mantenimento dei detenuti. I giudici hanno specificato come la diaria giornaliera (€ 3,90 per detenuto per tre pasti quotidiani) indicata a base d’asta non fosse sufficiente a garantire una offerta di qualità, competitiva e remunerativa. D’altronde se con tre euro e 90 viene garantita la colazione, il pranzo e la cena di ciascun detenuto, non è difficile immaginare che nessuno di loro riesca a sfamarsi con quello che lo Stato ha offerto. Solo Cesare Battisti subisce il problema del cibo scadente? Ovviamente no. Proprio in questi giorni, abbiamo ricevuto una lettera collettiva dei detenuti del carcere di via Spalato, a Udine. «Dichiariamo – scrivono i reclusi - che è da mesi che ci lamentiamo per la piccola quantità di cibo che viene distribuita, e anche, altra cosa grave, che alcuni di noi hanno portato in visione all'ispettore di turno cibo crudo, cibo scaduto e maleodorante». Non solo, denunciano che alcuni detenuti hanno trovato nel loro piatto di spinaci e gnocchi anche scarafaggi morti. «Tutto questo lo lamentiamo da mesi – scrivono i detenuti del penitenziario di Udine -, e anche veniva portato in visione il mangiare scaduto e avariato ad un ispettore di turno, e lui lo segnalava anche, ma continua tutt'ora lo stesso; addirittura persone che hanno avuto problemi alla pancia, chi vomito ed alcuni, più fortunati, si astengono al ritiro del vitto». Il diritto al cibo nelle condizioni di privazione della libertà è vitale. Situazioni come queste descritte, sono delle violazioni disumane e degradanti. Le indignazioni scaturite contro l’istanza presentata dall’avvocato di Battisti sicuramente assecondano le pulsioni popolari, ma alimentano l’idea di un sistema penitenziario simile alle carceri turche come il celebre film Fuga da mezzanotte.