«La tanto sbandierata ripartenza delle attività dei Tribunali sarà praticamente inattuabile e pertanto verrà rinviata, se tutto andrà bene, al mese di settembre». Le conclusioni - tragiche - sono di Antonello Talerico, presidente del Coa di Catanzaro, reduce dall’incontro di giovedì con Lorenzo Del Giudice, vice capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria di via Arenula. Una riunione alla quale hanno preso parte i presidenti delle Corti d’Appello, quelli degli Ordini degli avvocati e i procuratori generali delle regioni meridionali, le meno colpite dall’emergenza e, almeno in linea di principio, “predisposte” ad una riapertura vera dei Tribunali. Ma le cose, in realtà, non stanno così. E gli esempi, per Talerico, sono lampanti: le udienze, spiega, «sono fissate soltanto sino alla data del 15 luglio 2020 e i magistrati stanno già procedendo a rinviare d’ufficio molti dei processi che si sarebbero dovuti celebrare tra il 1° ed il 15 luglio».
Il braccio di ferro tra avvocatura e cancellerie
Mentre da nord a sud continua il braccio di ferro tra avvocatura e personale amministrativo - che insiste sulla necessità di mantenere lo smart working per garantire la sicurezza -, la classe forense continua ad interrogarsi sulla ripartenza, fissata per decreto al primo luglio. Una “Fase 3” che si preannuncia, però, soltanto di facciata. Almeno secondo l’avvocatura, che chiede protocolli in grado di garantire la ripartenza, impossibile se il personale di cancelleria non tornerà, effettivamente, al lavoro sul campo. «Non possiamo dimenticare che permangono i divieti di assembramenti e le norme che impongono il distanziamento sociale - dice al Dubbio Rosario Pizzino, presidente del Coa di Catania -. Quindi nelle strutture giudiziarie che presentano spazi angusti sarà molto problematico contemperare la presenza fisica delle udienze con l’applicazione di queste misure. Probabilmente andremo incontro ad una ripresa virtuale, per la quale, evidentemente, dovremo ancora concordare con i magistrati una serie di misure per evitare l’affollamento». Si rischiano assembramenti, file, rinvii, insomma: tutto meno che il ritorno alla normalità. Ancora una volta a scapito della domanda di giustizia dei cittadini e, professionalmente, a scapito degli avvocati. «L’avvocatura è stata la componente della giurisdizione più colpita. Ma nonostante ciò, se è stato possibile affrontare questi quasi quattro mesi è solo grazie alla nostra collaborazione - aggiunge -, la quale, con tutta una serie di protocolli, ha permesso che quel minimo di attività si espletasse. E questo sarà ancora necessario». La disponibilità a collaborare c’è, a patto, afferma Pizzino, «che le cancellerie tornino a lavorare a pieno regime».
«Basta con lo smart working»
Per Talerico, «l’abusato smart working, oltre a non consentire agli operatori di svolgere a distanza importanti attività, ha determinato anche facili giustificazioni nei ritardi maturati nelle plurime attività spesso sollecitate dall’avvocatura. Avrebbe dovuto consentire ai singoli operatori di rispondere a pec, email ed ai contatti telefonici, ma gli avvocati non hanno ricevuto risposta». I buoni protocolli servono dunque a poco senza una previsione sulle modalità di lavoro delle cancellerie, per le quali vale la circolare del 12 giugno scorso, a firma del capo del Dog, Barbara Fabbrini, secondo cui il Dl Rilancio già consente di rimodulare il ricorso al lavoro agile. Ma rimane, comunque, onere dei capi degli uffici riorganizzare il tutto. «Bisogna contemperare lo smart working con l’esigenza di funzionalità degli uffici - aggiunge Pizzino -, dal momento che il personale amministrativo da casa non può collegarsi ai registri telematici». Un punto sul quale anche diversi presidenti delle Corti d’Appello si sono mostrati d’accordo. Ci sono poi i ritardi nella liquidazione del patrocinio a spese dello Stato, spesso causati dalla mancata informatizzazione del procedimento, fattore che ha ulteriormente penalizzato l’avvocatura, specie la sua parte più giovane. Il Dog ha garantito lo stanziamento di fondi straordinari per l’acquisto di dispositivi, nonché, in futuro, la possibilità di collegamento telematico ai registri, quantomeno sul civile.
Il nodo del rinvio delle udienze
Ma il nodo cruciale rimane sempre quello dei rinvii, alcuni dei quali addirittura al 2023. «Va registrato il rinvio di circa l’ 85% delle cause che dovevano celebrarsi nel periodo di lockdown», sottolinea Talerico, secondo cui il ministero della Giustizia avrebbe dovuto prevedere «prescrizioni generali applicabili uniformemente su tutto il territorio italiano», ad eccezione delle Regioni maggiormente colpite. Da Catanzaro la proposta è quella di azzerare lo smart working, con una nuova riorganizzazione degli Uffici e delle udienze e un agevole impiego degli strumenti informatici. «Si sono riaperte le discoteche, è ripartito lo sport e tante altre attività che comportano la violazione di ogni prescrizione sanitaria - conclude Talerico -, ma si continua invece a pretendere il distanziamento e il divieto di assembramento all’interno dei Tribunali, così di fatto impedendo una concreta possibilità di ripartire».