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La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30- ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 ( Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30- bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni. Questa è la decisione in merito all’ordinanza del 13 novembre 2019 dove la Cassazione, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30- bis, comma 3, in relazione al successivo art. 30- ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 ( Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio è pari a 24 ore».
Cosa era accaduto? Un detenuto aveva fatto ricorso per un rigetto alla sua richiesta del permesso premio, ma è stato dichiarato inammissibile. Il motivo? Il provvedimento di rigetto era stato comunicato il 13 novembre 2018 alle ore 8.16 e il reclamo era stato depositato il giorno successivo alle ore 8.44. Dunque ha sforato le 24 ore, quindi fuori tempo massimo come prevede l’articolo dell’ordinamento penitenziario.
Il detenuto ha quindi fatto ricorso in Cassazione. Tra le argomentazioni c’è quella che il tribunale di Sorveglianza non ha svolto alcun accertamento in ordine alla possibilità del reclamante di presentare il reclamo in orario antecedente a quello delle ore 8,44 del giorno successivo a quello di notifica: se le celle sono chiuse fino alle ore 9,00 del mattino, orario dal quale iniziano le varie attività socio- ricreative, rieducative e lavorative, prima di quell’orario è impossibile uscire dalla cella e accedere a qualsivoglia altro locale dell’istituto senza apposita autorizzazione, quindi anche presentare reclamo.
La Corte suprema ha ritenuto la questione non manifestamente infondata. Nella sua ordinanza di rimessione, la Cassazione rilevato vari punti di incostituzionalità, tra le quali quelle in tema di violazione del diritto di difesa: viene sottolineato che bisogna considerare lo squilibrio che si realizza tra le opportunità di impugnazione riservate alla parte pubblica e al detenuto. Violerebbe anche l’articolo 24 della Costituzione laddove il termine di ventiquattro ore per la proposizione del reclamo si rivelerebbe incapace di assicurare alla parte, che intenda fare reclamo, di un tempo utile per articolare la sua difesa tecnica da sottoporre al Tribunale di sorveglianza con l’assistenza di un avvocato. Sempre la Cassazione ha osservato che per evitare il rischio di una pronuncia di inammissibilità il detenuto necessita dell’assistenza di un difensore. Da un lato il sistema consente all’interessato di richiedere l’intervento e l’assistenza della difesa tecnica, ma dall’altro non gli pone le condizioni – causa il breve arco temporale - per esercitarla.
La Consulta ha ritenuto fondata la questione di incostituzionalità. Secondo la Corte costituzionale presieduta dalla giudice Marta Cartabia di cui Francesco Viganò è il relatore, un solo giorno di tempo lede il diritto di difesa del detenuto e rappresenta anche un ostacolo alla funzione rieducativa della pena, alla quale i permessi premio sono funzionali. La Corte ha così accolto la questione sollevata dalla Cassazione su una norma dell'Ordinamento penitenziario, giudicando irragionevole un identico termine per il reclamo sia contro i provvedimenti sui permessi di necessità - legati a situazioni di imminente pericolo di vita di familiari o altri gravi eventi eccezionali - sia contro quelli riguardanti i permessi premio, sebbene siano diverse le finalità.