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Sei giorni fa è morto il primo rom per Coronavirus allo Spallanzani di Roma. Si chiamava Stanije Jovanovic e aveva 33 anni. Viveva in una casa popolare con la moglie e quattro figli, inoltre aveva una famiglia numerosa nel campo di via Salviati e ogni giorno andava a trovarli. Eppure, dopo la sua morte – come ha denunciato l’associazione “Cittadinanza e minoranze” - non ci sono stati tamponi per loro o nel campo, ma solo l’obbligo di quarantena. Ma si sa, nei campi rom, alla quarantena, ci sono già abituati. Sorge infatti il problema dei campi dove le condizioni sanitarie sono da tempo sottovalutate. Ma c’è anche il problema della loro sopravvivenza. Come sottolinea sempre l’associazione “Cittadinanza e minoranze” ( se si va sul suo sito c’è una raccolta donazioni), i rom vivono di piccoli commerci, della raccolta di materiali, di elemosina: ora, ovviamente, con le restrizioni non lo possono più fare.
In quasi tutti gli insediamenti sono stati segnalati casi di fami. L’associazione romana “21 Luglio” denuncia l’altro grande problema dei campi rom ai tempi del coronavirus. In nessuna baraccopoli è stata segnalata la presenza di operatori sanitari disponibili a distribuire dispositivi di prevenzione o ad illustrare le misure atte a prevenire il contagio. Restano quindi le azioni raccomandate attraverso la tv e che sono praticabili, però, laddove le condizioni igieniche lo permettono o dove almeno c’è disponibilità di acqua corrente ( scarseggia nel campo rom di via di Salone e utilizzata solo con autobotte a Castel Romano).
Nelle interviste fatte dall’associazione “21 Luglio” emerge scarsa consapevolezza da parte degli abitanti delle baraccopoli dell’impatto che le misure attualmente imposte dal decreto potrebbero avere sull’infanzia. La sospensione dell’attività scolastica e l’impossibilità di utilizzare strumenti tecnologici indispensabili a seguire un’eventuale didattica a distanza pone i minori in età scolare in uno stato di grave isolamento in rapporto ai coetanei e agli insegnanti. Senza dimenticare il discorso della promiscuità nella baraccopoli, con un evidente sovraffollamento interno ed esterno alle abitazioni: se venisse riscontrata una positività, le baraccopoli sono tali da poter isolare solo il paziente e la sua famiglia? L’associazione “21 Luglio” ha lanciato l’allarme e ci si augura che venga raccolto il prima possibile. Bisogna, prima di tutto, predisporre per tempo, in caso di riscontro di una o più positività al Covid- 19 all’interno degli insediamenti formali, un adeguato e tempestivo piano di intervento sanitario, al fine di evitare che la capitale arrivi impreparata a tale evento.