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In un momento storico in cui il Governo italiano si attiva per adottare misure straordinarie e urgenti per fronteggiare l’emergenza alimentare della popolazione italiana colpita e decimata dal Covid 19 destinando dei fondi per alleviare bisogni e necessità, in un momento in cui le polemiche sulla distrazione dei fondi dal Sud verso il Nord occupano le pagine delle principali testate giornalistiche, c’è chi, in rappresentanza di uno Stato “giusto” e “solidale” ha decretato che dall’assegnazione dei Buoni Spesa saranno escluse le famiglie nel cui nucleo familiare sussistano condanne definitive ai sensi dell’art. 416 bis del c.p. e condanne per i reati contestati per l’aggravante dell’agevolazione mafiosa né carichi pendenti per gli stessi reati”. Ebbene sì! Il commissario prefettizio del Comune di Africo, in provincia di Reggio Calabria, ha stabilito i parametri di assegnazione dei buoni spesa da destinare alle famiglie bisognose, escludendo quei nuclei dove un membro ha riportato condanne penali. C’è da chiedersi: ma in questo caso, i decreti non dovrebbero essere adottati secondo il criterio della solidarietà sociale, della sussidiarietà e dell’assistenza? Eppure si tratta di buoni spesa. Buoni spesa, ovvero buoni spendibili in beni alimentari o di prima necessità, quasi che i figli dei detenuti non abbiano bisogno di mangiare, di curarsi, di vivere. Buoni spesa necessari per l'acquisto di alimenti! Non beni di lusso! Il dubbio è che il commissario prefettizio del Comune reggino abbia adottato tale provvedimento senza considerare lo stato di bisogno del popolo che amministra e senza una vera concertazione con le parti sociali perché se lo avesse fatto avrebbe visto lo stato di bisogno delle famiglie dei detenuti. Sorge il dubbio che il potere conferito a chi dovrebbe farsi “verbo e rappresentante” delle istituzioni abbia perso di vista la funzione che gli è stata assegnata sentendosi una sorta di peritus peritorum che si arroga il compito di escludere le famiglie dei detenuti per mafia dal sussidio statale dei buoni spesa. Eppure lo stato di bisogno riguarda anche loro. Certamente i controlli vanno fatti, vanno verificate tutte le compagini sociali ma in uno Stato improntato alla solidarietà sociale, non si può escludere a priori una parte della comunità soprattutto quando si tratta di interventi destinati all'assistenza alimentare. Che dire, il commissario avrà pure scritto una bella pagina di “Giustizia” in una terra aprioristicamente tacciata di mafiosità, ma quando il suo mandato sarà finito, ci si augura che qualcosa anche Egli l’abbia imparata da questa terra: la dignità con cui i figli dei detenuti affrontano ogni giorno la vita non si vende. I figli dei detenuti non chiedono, attendono che lo Stato si ricordi anche di loro. I figli dei detenuti sono abituati a vivere di privazioni, di mancanze e se lo Stato ha decretato che per loro non c’è necessità di pane sulla loro tavola, l'esclusione dai buoni spesa non cambierà le cose, vivranno lo stesso anche senza il pane quotidiano. *avvocato