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“La vittima è l’eroe moderno, ormai santificato. L’abuso del paradigma vittimario frutto del diritto penale emozionale e compassionevole, ha fatto si che lo stato di vittima sia diventato desiderabile nello stato di oggi”. E’ solo uno dei passaggi, e forse neanche il più duro e diretto, del libro di Filippo Sgubbi: “Il diritto penale totale”, edizioni Il Mulino. Un testo che non fa alcuno sconto, che mira dritto al cuore del problema senza timori né riguardi. E la chiave di volta del testo di Sgubbi, avvocato e professore nelle università di Cagliari, Bologna e Roma, è proprio quel termine: “totale”. “Totale perché ogni spazio della vita individuale e sociale è penetrato dall’intervento punitivo che vi si insinua”. Totale, inoltre, perché da anni, decenni, la politica e la società civile sono convinte che ingiustizie e mali sociali possano trovare una soluzione solo ed esclusivamente nel diritto penale. Ed è questo il motivo per cui la giustizia è diventata il centro della vita politica e l’epicentro delle scosse che di volta in volta minano la tenuta di governi e maggioranze: vedi il recente scontro sulla prescrizione e sulla riforma del processo penale. E così Filippo Sgubbi ci aiuta a mettere a fuoco il vero nodo, quel groviglio tra politica e giustizia che è più di un’osmosi: non un confronto dialettico tra pari, quanto una sottomissione della prima nei confronti della seconda. Perché quel grido “vogliamo giustizia”, (e torniamo alla teoria del “paradigma vittimario) urlato nelle aule dei nostri tribunali e usato come arma contundente contro quei giudici che si permettono di assolvere o non infliggere “pene esemplari”, riecheggia nelle stanze dei palazzi della politica e diventa centro, manifesto e proclama di gran parte dei partiti. E così accade che il processo “sia chiamato a cercare colpe prim’ancora che cause”. Nasce in questo modo “una nuova forma di ricerca processuale del capro espiatorio e nel contempo un nuovo tipo di processo politico dovuto alle pressioni politico-sociali”. Non solo, “la voce intimidatoria delle vittime, adeguatamente amplificate dai media, - spiega Sgubbi - trascende l’ambito risarcitorio e vorrebbe poter determinare la sanzione, chiedendo pene più severe. E trascende perfino l’ambito del processo con la richiesta anche di sanzioni penali sociali extrapenali”. E, seguendo Sgubbi, possiamo senz’altro dire che la “dittatura” del “paradigma vittimario” arriva a giustificare anche le minacce a quegli avvocati che “osano” difendere i diritti degli imputati. Se nelle visione distorta di media e pubblica opinione il processo non è più ricerca di cause e responsabilità ma mero dispensatore di pene esemplari, allora l’avvocato difensore diventa necessariamente “complice” insieme al giudice che non punisce in modo “adeguato”. Con buona pace del diritto, delle garanzie e della democrazia stessa, la quale, spiega Sgubbi, “è travolta dagli stessi inconvenienti caratteristici dei processi politici di ogni tempo”. Ma la dittatura del “paradigma vittimario” è solo uno degli argomenti sezionati da Sgubbi. Con la stessa efficacia e durezza Sgubbi ci parla di “tipicità postuma”, di “reati percepiti”, fino al binomio “puro/impuro” che ha sostituito quello di “innocente/colpevole”. “La responsabilità penale si può allora spiegare anche con le categorie puro/impuro, come nella visione selvaggia del peccato”. Secondo Sgubbi il reato e la colpa sono uno “stato” che precede la commissione di un fatto. Una sorta di peccato originale che macchia fin dall’origine alcune “caste”, quella politica su tutte. Ma questa degenerazione del diritto colpisce tutti, anche chi si è ritrovato a urlare “giustizia” chiedendo pene esemplari. Perché “nel diritto penale totale il cittadino si presenta solitamente inerme e con scarso potere difensivo”. Immerso in un medioevo che ha contribuito a generare.