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Nella casa circondariale di Udine si sarebbe verificato uno stupro nei confronti di un giovane detenuto da parte di alcuni reclusi. A denunciarlo è Emilio Quintieri, già consigliere nazionale dei Radicali Italiani, che oggi ha ricevuto conferma della veridicità del fatto: il direttore reggente dell’Istituto Tiziana Paolini, nel corso di un colloquio con il Garante per i detenuti, avrebbe confermato che il fatto è stato denunciato recentemente dall’interessato, pur essendo avvenuto negli ultimi mesi del 2019. La vittima, giovanissima, alla sua prima esperienza detentiva, da tempo affetto da problemi psichici ed in cura presso il Centro di Salute Mentale di Udine. «Lo stupro – denuncia Quintieri -, stando a quanto riferitomi, sarebbe avvenuto all’interno della camera di pernottamento ad opera di quattro detenuti che avrebbero approfittato di lui mentre era sotto l’effetto di psicofarmaci». Ma non sarebbe finita qui. Sempre secondo la ricostruzione di Quintieri, dopo un breve periodo di degenza nel Reparto Infermeria dell’Istituto ove gli sarebbero stati applicati alcuni punti di sutura al retto, pare che il giovane sia stato riportato nella stessa camera ove precedentemente è stato oggetto di violenza sessuale. «Secondo quanto mi è stato riferito – continua Quintieri -, dopo aver subito lo stupro non parlerebbe più e avrebbe l’intenzione di suicidarsi, cosa che, peraltro, ha già più volte tentato di fare nel recente passato». Dopo aver appreso questa storia agghiacciante, tutta ancora da verificare, Emilio Quintieri ha prontamente segnalato il caso al garante locale del Comune di Udine, della Regione Friuli Venezia Giulia e all’autorità del garante nazionale delle persone private della libertà. Ha chiesto alle Autorità Garanti di attivarsi, con la massima urgenza, «per verificare di persona quanto accaduto, sollecitando l’immediato trasferimento di questo ragazzo presso una struttura sanitaria esterna attrezzata per il trattamento delle problematiche di cui è portatore verificando, altresì, se i responsabili del reato di violenza sessuale siano stati deferiti all’Autorità Giudiziaria competente».Ma è possibile che un giovane ragazzo, appena maggiorenne, con problemi mentali sia stato messo in una cella con quattro detenuti adulti? Se è così, possibile che non ci sia stata una maggiore attenzione? Restano sullo sfondo due grandi problemi. Uno il discorso della salute mentale in carcere, l’altro è quello degli stupri che avvengono nelle case circondariali. Quest’ultimo problema è un vero e proprio tabù. Ai dati sul sovraffollamento e i trattamenti inumani e degradanti che inducono molti detenuti a togliersi la vita, devono essere aggiunti quelli legati agli abusi sessuali. Violenze sessuali che vengono taciute, alcune volte, persino dalle associazioni umanitarie per un incomprensibile senso del pudore. Gli attivisti di EveryOne – un'associazione che si occupa dei diritti umani – tramite una non recente ricerca stimarono, considerando anche la mancanza di strumenti atti a tutelare gli internati dagli abusi, che si verificano nelle case circondariali italiane almeno 3mila casi di stupro ogni anno. È un dato che corrisponde al 40% degli stupri totali che avvengono in Italia. «Quando entri in carcere – rivelarono alcuni ex-detenuti a EveryOne – se sei giovane o comunque hai un aspetto gradevole, c’è il rischio di essere violentato dai reclusi che hanno più potere e considerazione nella gerarchia che esiste dietro le sbarre». Ma non solo, gli ex detenuti raccontarono all'associazione che «molti ragazzi si tagliano le braccia, le gambe, il petto, il viso e compiono altri atti di autolesionismo per sottrarsi a tali pratiche, mentre altri tentano il suicidio». La violenza su un giovane in carcere non è considerata un atto omosessuale, ma una manifestazione di forza virile e di potere. La questione della salute mentale è una criticità notoria nel sistema penitenziario. Si tratta di un disagio che non trova sufficienti strumenti di trattamento nell’istituzione penitenziaria: ad oggi sono soltanto 44 le articolazioni di salute mentale attive nei quasi 200 istituti penitenziari e soltanto due sono i reparti psichiatrici. È un fenomeno che ogni giorno mette alla prova il personale di polizia penitenziaria chiamato a gestire situazioni di natura patologica che non sono comprese nella sua formazione professionale e nei suoi compiti.