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Nel mondo degli agenti penitenziari regna ancora il maschilismo. Per questo c’è ancora tanta strada da fare per garantire e allargare i diritti delle donne che lavorano nella polizia penitenziaria. Da qualche mese il sindacato della Cgil ha costituito il Coordinamento donne di polizia penitenziaria.
Ma i primi passi del nuovo organismo sono stati ufficialmente mossi mercoledì scorso a Perugia, con il primo corso di formazione tenuto presso il centro congressi Quattro Torri. «Questo coordinamento nasce per abbattere i tanti paletti eretti dal maschilismo all'interno del nostro corpo di polizia», ha spiegato la coordinatrice Filomena Rota. Le carceri, infatti, sono luoghi anche strutturalmente pensati per i maschi: «Abbiamo bisogno molto banalmente di bagni e servizi adatti alle donne e di caserme pensate anche per noi», ha aggiunto Lucia Saba, agente in servizio presso la Casa circondariale di Nuoro.
Ma c'è di più: «Io che faccio questo lavoro da 23 anni mi sento in dovere di difendere le giovani colleghe che entrano oggi in servizio, perché non debbano subire quello che ho subito io da giovane - ha detto Giuseppina Gambino, che lavora presso la casa circondariale di Vercelli ovvero discriminazioni, battute sessiste e anche molestie».
Ma cosa vuol dire essere donne poliziotte, in un ambiente sempre più maschile? La presenza di donne nel corpo di polizia penitenziaria è una novità introdotta appena 29 anni fa con la Legge 395 del 1990 e rappresenta oggi il 9% del personale tra gli agenti ( il 7% tra i sovrintendenti e il 12% tra gli ispettori). Questa è una conseguenza anche della normativa vigente secondo cui «il personale del corpo di polizia penitenziaria da adibire ai servizi in Istituto all’interno delle sezioni deve essere dello stesso sesso dei detenuti».
E se consideriamo che la popolazione carceraria è costituita da oltre 60 mila detenuti, di cui 2.666 detenute donne, va da sé che la presenza maschile è quasi esclusiva.
Ma è davvero quella vigente l’unica modalità possibile? Secondo il Coordinamento donne di polizia penitenziaria non è così. Ci sono infatti esperienze europee ( come quelle di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Francia e Germania) in cui le donne della polizia penitenziaria sono ammesse anche nelle sezioni maschili, salvo che per le operazioni di perquisizione dei detenuti.
Queste esperienze insegnano che aumentare il numero di donne nel corpo di polizia penitenziaria, se fatto con criterio, è possibile. C’è poi da considerare che l’Italia esclude attualmente le donne non solo dai ruoli che operano all’interno delle sezioni detentive, ma anche da ruoli e mansioni che non prevedono il lavoro in sezione: ispettori e sovrintendenti.
Gli ultimi concorsi per accedere ai suddetti ruoli, infatti, hanno previsto soli 172 posti femminili per i sovrintendenti, pari al 6% ( contro 2.679 posti maschili) e 35 posti femminili per gli ispettori pari al 5% ( contro i 608 maschili). Per gli agenti la percentuale aumenta al 22%, con 196 agenti donne e 678 agenti uomini.
Quanto detto fino adesso tocca solo questioni numeriche. C’è poi tutta la questione di come si lavora nelle carceri. Secondo la Cgil, un ambiente storicamente maschile ha mantenuto in sé una serie di aspetti organizzativi e pratici, oltre che psicologici e umani, che rendono difficile il clima per le donne poliziotte.
Nelle carceri, per esempio, non ci sono spogliatoi, bagni, armadietti e stanze per il pernottamento che siano riservati alle sole donne. Mancano misure di flessibilità di orari e turni per armonizzare quanto più possibile la conciliazione della vita personale con il lavoro.
Sono tanti gli aspetti che fino ad oggi non sono stati curati e che meritano invece la giusta attenzione. Per questo la Cgil ha deciso sensibilizzare la politica a questo tema e di avanzare delle proposte, contenute nella Piattaforma per le pari opportunità realizzata dal sindacato, che permetterebbero a tutto il personale di polizia penitenziaria, uomini e donne, di vivere in armonia, nel rispetto e nella realizzazione personale e professionale.
Nel corpo di polizia penitenziaria vi è una discriminazione verso le donne sostanziale rispetto a quanto avviene negli altri corpi di polizia. «Siamo convinti – commenta il sindacato – che una maggiore presenza femminile in ambienti così chiusi e delicati possa dare un contributo importante, rendendoli più sereni e vivibili. Non possiamo fare passi indietro, dobbiamo procedere in avanti, in direzione di una parità di opportunità tra uomini e donne che è da ritenersi civile».