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Tredici anni di carcere per due carabinieri e 10 anni e sei mesi per sei poliziotti. Questa è la richiesta da parte del pg di Milano Massimo Gaballo nei confronti degli imputati nel processo in corso davanti alla Corte d’Assise d’Appello per la morte di Giuseppe Uva, deceduto il 14 giugno 2008 all’ospedale di Varese. Nella requisitoria, il pg di Milano, Massimo Gaballo, ha sottolineato che Giuseppe Uva morì ' a causa di un’aritmia provocata dalla violenta manomissione sulla sua persona col trasferimento coatto in caserma, anche a prescindere dalle eventuali percosse subite e dalle lesioni riscontrate sul suo corpo'. A ucciderlo, secondo il rappresentante dell’accusa, furono la ' tempesta emotiva' e lo ' stress' originati dal suo trasferimento in caserma illegittimo, non motivato dalla commissione di alcun reato e nemmeno da ragioni di identificazione dal momento che i carabinieri sapevano bene chi fosse per i suoi precedenti. Inoltre, il pg ha spiegato che è stata chiesta una condanna più lieve per i poliziotti perché a loro viene addebitata una condotta ' omissiva'. I reati contestati son omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale. Il processo in corso è scaturito dall’impugnazione da parte della procura di Milano della sentenza di primo grado del 2016 che aveva assolto i due carabinieri e sei poliziotti dall’accusa di omicidio preterintenzionale ai danni di Giuseppe Uva.
Ma cosa accade a Uva? Tutto iniziò il 14 giugno del 2008, quando Giuseppe, 43 anni, di professione falegname, venne fermato ubriaco alle 3 di notte in centro a Varese. Insieme al suo amico Alberto Biggiogero stava spostando una transenna. Arrivarono i carabinieri e li portarono entrambi nella caserma di via Saffi. Qui comincia un buco di due ore, che porta direttamente alle 5 del mattino, quando Giuseppe Uva sarebbe entrato al pronto soccorso con un Tso. Alle 10 la morte per arresto cardiaco, su un lettino del reparto di psichiatria. Sette anni di indagini – compreso il processo con l’assoluzione poi impugnatonon hanno chiarito cosa sia effettivamente successo durante le due ore in caserma. In realtà, già nel 2012 un processo per la morte di Giuseppe Uva fu celeduto brato, sempre a Varese. L’accusa decise di seguire la pista della malasanità e sul banco degli imputati ci finì un medico, che venne assolto con formula piena nell’aprile del 2012. Nel leggere la sentenza, il giudice ordinò anche di effettuare nuove indagini su quello che sarebbe accaduto in caserma, prima dell’ingresso di Giuseppe in ospedale. Il pm allora incaricato delle indagini, Agostino Abate, non la prese affatto bene e parlò apertamente di pregiudizi nei confronti del suo operato. Proprio Abate divenne protagonista dell’incredibile interrogatorio all’unico testimone di quella nottata, Biggiogero. Il video di quanto accase è su Youtube: quattro ore di sostanziale massacro, con il teste finito nel pallone, bombardato da domande e da atteggiamenti che in molti hanno definito quasi intimidatori, o quantomeno molto aggressivi, più del lecito per una persona che, in fondo, è soltanto ' informata dei fatti' e non accusata di niente. Biggiogero voleva un caffè, Abate gli risponde: ' Ha bisogno di drogarsi? Il caffè è una droga'. Un’aria pensante, tanto che se ne occupò anche il Csm su questa vicenda dell’interrogatorio.
Secondo la denuncia dei militari, durante le due ore di fermo, Giuseppe Uva era agitato, quasi incontenibile nella sua furia: ' Hanno scritto che quella notte lì Giuseppe si picchiava. Ma io dico, cosa facevano loro? Godevano a vedere una persona che si picchiava? ', si domandò la sorella Lucia. Comunque sia, in ospedale a Uva vengono somministrati vari farmaci per sedarlo. In mattinata, il cuore dell’uomo smetterà di battere per sempre. Da sempre la tesi dei familiari è che il decesso sia stato provocato dalle percosse e dalle manganellate inflitte all’uomo dagli agenti che lo tenevano in custodia.