La politica c’entra: ma è secondaria. Piuttosto è questione di feeling, come cantavano Mina e Riccardo Cocciante. Una coppia: quella che serve alla sinistra per tornare a sognare. E’ già lì, panacea dolce per un universo di malinconia devastato dalla buriana a Cinquestelle che tutto travolge ma non qui, non nella Roma caput mundi e tanto meno nell’empireo dell’audience nazional- popolare.

Sono i Zinga brothers, Luca e Nicola Zingaretti, attore il primo ( e più grande: è del novembre 1961; l’altro è nato quattro anni dopo); politico - meglio always winningil secondo, fresco di rielezione alla presidenza della Regione Lazio. Con tanti saluti al “tecnico” Stefano Parisi catapultato da Milano e, pura goduria, un bel ciaone alla grillina viscerale Roberta Lombardi con anessa postuma vendetta per Pierluigi Bersani.

Luca e Nicola sono la coppia destinata a diventare faro nell’oceano tempestoso dell’Italia della Terza repubblica perchè capaci di portare in dote all’area progressista complessivamente intesa, la cosa che ora come ora risulta alla stregua di un’oasi in mezzo al Sahara: la vittoria. Fratelli ‘ de sinistra della romanità che affonda le radici nella tradizione più genuinamente ex comunista all’ombra del Cupolone, e per nulla imparentati con l’allure radical chic ( «La mia camicia non è di Brooks Brothers e, come vede, è molto lisa», spiegò il neo governatore a Stefano De Michele che lo intervistava per l’Unità); Luca e Nicola sfondano laddove tanti altri restano impantanati. Il primo, nei panni tv del Commissario Salvo Moltalbano, è l’eroe di un’ Italia composta e metodica, dai modi mai sopra le righe e ostinatamente normale, che tuttavia è capace di arrivare inesorabilmente alla soluzione, di scoprire i colpevoli laddove tutti gli altri falliscono. «Piace così tanto perché nell’Italia dove le sentenze non sono mai definitive, Montalbano è il poliziotto dal quale vorremmo essere tutti protetti e dal quale persino persino gli assassini vorrebbero essere essere smascherati», ha pennellato Francesco Merlo su Repubblica. Che Luca- Salvo piaccia non c’è dubbio. Moltalbano è il serial di maggior successo della tv italiana. E che successo: l’episodio Amore ha incollato davanti al piccolo schermo poco meno di 11 milioni di telespettatori, con il 42,8 di share. Quello precedente è arrivato addirittura al 45. Undici milioni sono esattamente i voti che il Pd renziano ha perso dal 2014 ad oggi; e le percentuali di audience sono del tipo che fanno lievitare i succhi gastrici del Nazareno. Pronto per la politica in grande, allora? «No grazie; in famiglia di politico ne basta uno», taglia corto Luca.

Ha ragione. Infatti è un campo dove il fratello minore giganteggia. Nicola è l’uomo che quando decidere di competere non perde mai. Negli ultimi dieci anni ha prevalso in tutte competizioni politiche cui ha preso parte. Un record. Nel 2008, con più di un milione di voti, diventa presidente della Provincia di Roma sbaragliando Alfredo Antoniozzi del centrodestra. Si candida a sindaco di Roma ma lo scandalo che travolge Renata Polverini lo proietta verso la Pisana. Come finisce inutile dirlo: un milione e trecentomila voti lo incoronano Presidente; un 40,65 per cento che annichilisce Francesco Storace. L’altro ieri nuovo round ed altro trionfo. Nella terra dove i Cinquestelle hanno sbriciolato gli avversari, nella Capitale del 66 per cento a Virginia Raggi, Nicola recupera trecentomila voti ( «Una cosa enorme», conferma il suo storico braccio destro Andrea Cappelli) e non solo vince: stravince perché il mood del Paese in quella medesima tornata elettorale va in direzione ostinatamente contraria. Nel momento, infatti, in cui l’Italia si affida al Nord alla Lega salviniana e al Sud al M5S, Zingaretti riesce laddove nessuno prima ce l’aveva fatta: essere riconfermato nella carica di presidente regionale. Un successo reso possibile dalla coalizione messa in piedi: aperta a tutti e chiusa a nessuno, nè a destra nè a sinistra.

«Io faccio le mie scelte da solo, spesso contro i capicorrente del Pd», precisa.

Segretario compreso. E infatti. «Nel Lazio è in campo l’alleanza di centrosinistra più ampia tra quelle presenti in Italia. E’ la dimostrazione che si può ancora vincere mettendo insieme forze diverse» . Se qualche maligno gli facesse notare che il messaggio è indirizzato chiaro e forte al quartier generale del partito, in particolare adesso che Renzi si è dimesso ma non lascia la partita, c’è da giurare che Nicola scrollerebbe il capo: «Guidare il Pd? Certo che mi farebbe piacere, sarei ipocrita se non lo dicessi. Però i cittadini sanno che ho il vizio di mantenere le promesse. Mi sono candidato alla Regione e lì intendo restare».

Può essere. Però perfino Walter Veltroni mollò il Campidoglio quando si rese necessario soccorrere il partito. E Nicola quel richiamo lo sente, non potrebbe essere altrimenti. Non a caso Marco Damilano lo descrive come «l’ultimo esemplare di una specie estinta con il terremoto degli anni Novanta, il dirigente iscritto fin dai banchi di scuola alla direzione del partito, come Berlinguer o D’Alema». Uno così, per il disperso popolo del centrosinistra, può diventare una specie di messia. Nessuna sorpresa se Paolo Gentiloni l’ha incoronato: «Nicola è una presenza rassicurante, va incontro alle aspirazioni e al disagio dei cittadini con il sorriso». E’ popolare e dello stesso tenore sono i suoi gusti: appassionato di cartoni animati, adora Shrek 3. Musica? «Apprezzo Cremonini, i Susonica e Jovanotti». Uno di noi, insomma. Per i sinistri. E per i i tifosi. Nicola è calmo e disponibile: inclusivo come si dice oggi. Ma guai a toccargli la Roma. Quando il presidente Pallotta si è scagliato contro le radio calcistiche della città, Zingaretti è saltato su come una furia: «Pallotta è uno che viene da fuori e con arroganza si relaziona a una comunità bellissima. Da romanista dico: invece di dare lezioni, ci permettesse di tornare a sognare». Può ben dirlo lui che ci ha provato e c’è riuscito. Perciò forza Roma: non è una invocazione, è un programma politico.