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Aveva 25 anni ed è stato ritrovato impiccato sabato pomeriggio in cella di isolamento. Parliamo di un giovane detenuto rinchiuso nel carcere siciliano di Barcellona Pozzo di Gotto, appellante con una pena che sarebbe dovuta finire di scontare nel 2023. Soffriva di problemi psichiatrici, era detenuto per stalking dopo un passato influenzato dall’utilizzo di sostante stupefacenti. Un nuovo suicidio, il settimo dall’inizio dell’anno. Il secondo, sempre di questo 2018, nello stesso carcere. Da quanto l’istituto penitenziario da Opg è diventato carcere a tutti gli effetti, i suicidi sono aumentati. Il suicidio del giovane accende di nuovo i riflettori sulla necessità di garantire adeguate cure ai pazienti rinchiusi nelle articolazioni psichiatriche delle carceri. Come il caso, appunto, dell’ex Opg siciliano convertito in casa circondariale, dove nell’ottavo reparto psichiatrico è carente l’aspetto risocializzante ed educativo. Sì, perché secondo i dati risalenti nell’ot- tobre scorso risultano ristrette 60 persone detenute di cui 45 minorati psichici e 15 ex art. C. P. 148 con sopravvenuta malattia mentale. A questi si aggiungono due persone con misura di sicurezza definitiva e una persona con misura di sicurezza provvisoria in attesa di posto nelle Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Non parliamo di casi isolati, visto che, sparsi per le carceri italiane, ci sono 56 pazienti psichiatrici in attesa di essere spostati in una struttura sanitaria. Le difficoltà maggiori, in realtà, sono fuori. Non si riescono a gestire tutte le complesse domande di assistenza psichiatrica e le Rems non possono ovviamente far fronte a questo problema. Quest’ultime sono in overbooking. Per fare un esempio, solo nella regione Lazio ci sono 91 ospiti nelle Rems, mentre in lista d’attesa ci sono 40 persone. Qui nasce un problema. Una parte sono in libertà, un’altra – come già detto- è in carcere. Non parliamo di persone raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ma di custodia presso le residenze sanitarie. Casi che poi possono sfociare in tragedia.Come il caso di Valerio Guerrieri. Un ragazzo di 22 anni che si è ammazzato durante la permanenza al carcere di Regina Coeli. Al di là di ogni valutazione circa sul grave discorso dei suicidi che avvengono in carcere, lui lì non doveva starci. Poi ci sono le articolazioni psichiatriche dove non mancano casi di inefficienza. Conducono una vita in reparti completamente chiusi e soli, dove regna abbandono, solitudine, ozio, noia, aggressioni, autolesioni, tentati suicidi e, come in questo caso, suicidio. Quasi tutti rifiutano l’ora di passeggio. Pochi frequentano corsi professionali o scuole. Di chi è la responsabilità di tale inefficienza? Il garante regionale dei detenuti Stefano Anastasia lo spiegò a Il Dubbio: «All’interno del carcere, il dipartimento di salute mentale deve cambiare modalità di azione rispetto al passato. Un tempo interveniva per trasferire i detenuti con patologie psichiatriche negli Opg, oggi, invece, deve prendere in carico i detenuti psichiatrici prescrivendo dei piani terapeutici e di sostegno. Come del resto fa il servizio per le dipendenze. Un modello, quest’ultimo, che dovrebbe essere esteso anche nei confronti della salute mentale in carcere». Un aiuto in tale senso, potrebbe arrivare - se mai venisse approvata - dalla riforma dell’ordinamento penitenziario. Il decreto attuativo della riforma che parla di assistenza sanitaria, prevede infatti la possibilità di estendere il “rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena” alla infermità psichica oltre che a quella fisica, la previsione di estendere ai pazienti con turbe psichiche l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare, la sottolineatura dell’importanza del Servizio Sanitario all’interno dei penitenziari, che assume sempre più autonomi compiti di garanzia nel momento in cui assume quelli di cura, e la ribadita necessità di predisporre, all’interno degli Istituti Ordinari di pena delle “Sezioni per detenuti con infermità psichica”.