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Un numero considerevole di direttori del carcere si trova a gestire più di un istituto penitenziario a testa. Il Dubbio ha elaborato i dati del Dap presenti sul sito del ministero della Giustizia e risulta che ben 28 direttori dei penitenziari si ritrovano a gestire contemporaneamente due strutture – in alcuni casi dislocati in Regioni diverse per un totale complessivo di 56 istituti accorpati su 191 presenti. La maglia nera è in Sardegna dove su 10 istituti, solo due – tra i quali quello nuovo di Uta – sono gestiti a tempo pieno dal direttore penitenziario.
Ma c’è di più, sempre in Sardegna abbiamo il caso del direttore Pier Luigi Facci che, oltre a dover amministrare due penitenziari tra i quali quello di Oristano dove sono presenti numerose criticità , ricopre il ruolo di direttore dell’ufficio personale e della formazione del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna.
C’è, poi, il caso estremo del direttore Carlo Berdini che, oltre a dirigere un carcere di massima sicurezza come quello di Parma che, come ha denunciato lo stesso garante, presenta una serie di problemi, si è ritrovato pro tempore a gestire anche un altro istituto altrettanto importante e impegnativo come quello di Sollicciano, a Firenze, a oltre ducento chilometri di distanza.
In una situazione dove il sovraffollamento è in crescita e diversi istituti penitenziari presentano delle enormi problematicità, la figura del dirigente penitenziario diventa sempre più indispensabile. I direttori penitenziari sono attualmente inquadrati sui tre livelli; di essi alcuni svolgono le funzioni di direttori di istituto, altri, gli ex collaboratori di istituto penitenziario, hanno compiti di collaborazione alla direzione pur non potendone avere la reggenza. Le attribuzioni del direttore penitenziario riguardano la definizione di procedure sul funzionamento e la disciplina delle attività del personale, la direzione dei gruppi di osservazione e dello svolgimento dell’esecuzione penale, anche rispetto all’eventuale ammissione al lavoro esterno dei detenuti. Cura inoltre i collegamenti con la magistratura, in particolare con quella di sorveglianza, è responsabile della gestione amministrativa e contabile dei fondi assegnati; formula piani di addestramento del personale e di nuovi servizi. Un ruolo delicato e importantissimo, ma parliamo di una categoria numericamente esigua e che faticano a far sentire la loro voce.
I tagli dello spending review del governo Monti aveva toccato anche loro e un decreto del presidente del Consiglio del giugno 2015 ha successivamente imposto una riduzione del numero dei posti di funzione dirigenziale, con la conseguenza che diversi penitenziari sono stati accorpati. A questo va aggiunto che l’ultimo concorso pubblico per dirigenti penitenziari risale al 1997, con il risultato che tra pensione e dislocamento verso altri uffici ammnistrativi, la categoria rischia di invecchiare e sfoltirsi sempre di più e senza alcun rimpiazzo. Inoltre i direttori dei penitenziari che gestiscono più istituti subiscono un eccessivo accumulo di responsabilità, legato soprattutto all’ impossibilità di essere costantemente presente nelle carceri. Quindi sono costretti a delegare molte competenze. E una delega obbligata è un modo per spogliarlo delle sue funzioni e relegarle ai comandanti della polizia penitenziaria, nonostante continui a rispondere anche penalmente degli atti delegati. Sullo specifico Il Dubbio ha analizzato regione per regione, i diversi accorpamenti: