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Il 28 novembre 2015, un anno fa, l'avvocato Tahir Elci veniva assassinato. Elci era presidente del Consiglio dell'Ordine di Diyarbakir, il capoluogo del Kurdistan turco; era molto noto per avere condotto battaglie legali in difesa dei diritti umani, anche di fronte alla Corte Europea, e proprio nei giorni prima di morire si era recato nella cittadina di Cisre per documentare le violazioni dei diritti umani che venivano compiute dal governo turco imponendo il coprifuoco a cittadini inermi, riportandole in un libro che è stato pubblicato postumo dai suoi colleghi. Non poteva sapere che di lì a qualche giorno anche il centro storico di Diyarbakir, il vasto quartiere di Sur, sarebbe stato sottoposto ad un coprifuoco ininterrotto per 106 giorni: una popolazione di 120.000 abitanti è rimasta più di tre mesi senza potere né entrare né uscire dalla parte di città delimitata dalle antiche mura. E se si usciva, non si poteva più rientrare: significava abbandonare tutto senza potersi nemmeno portar via l'essenziale. Formalmente era un coprifuoco, di fatto fu uno stato d'assedio che non lasciava entrare né viveri, né acqua, né medicinali, né medici: un bombardamento continuo che non consentiva nemmeno di sotterrare i propri morti.Elci fu ucciso da un proiettile che gli ha trapassato il cranio. È morto all'istante ai piedi del Minareto delle Colonne: un monumento islamico antico e unico, sotto al quale stava tenendo un discorso per puntare il dito sull'intervento del governo ed i suoi bombardamenti che rischiavano di demolire le più nobili vestigia della civiltà curda, così come nella stessa città erano già state rase al suolo la chiesa armena e quella ortodossa. Andando a visitare oggi quella parte di città si comprende quanto fosse giusto il grido d'allarme di Elci: tutta la parte inframuraria della antica città vede prevalere spianate di rovine, da cui emergono costruzioni semidistrutte e qualche moschea.L'indagine sui possibili assassini ha subito dimostrato come gli inquirenti non avessero alcuna intenzione di arrivare alla verità. E' altamente probabile che a sparare quel proiettile sia stato uno dei tanti poliziotti che presidiavano il comizio di Elci, ma la verità è molto difficile da ricostruire: i due video che riprendevano il comizio si interrompono proprio pochi secondi prima della morte dell'avvocato e riprendono quando è ormai a terra. I 47 reperti che dovevano essere isolati, prelevati e analizzati, non lo furono perché il pm si decise ad andare sul luogo del crimine solo all'indomani dei fatti e su insistenza degli avvocati e il sopralluogo si interruppe «per motivi di sicurezza». Ciò che è sicuro è che sul posto spararono solo appartenenti alle forze dell'ordine. Pur essendo passati di corsa sulla scena anche due terroristi in fuga, essi non spararono e non furono attinti da alcun proiettile dei molti sparati dalla polizia. Al punto da lasciar supporre che essi siano corsi in quella direzione per consentire ai poliziotti di sparare e colpire liberamente Elci. Tale convinzione si rafforza se si va oggi, quando l'accesso è possibile dopo i mesi di coprifuoco, e si constata quanto limitata sia la scena dell'assassinio: un incrocio di stradine nelle quali era impossibile che, volendolo, la polizia non colpisse i due terroristi in fuga. Dopo mesi dal delitto il pm è stato rimosso (uno dei 4000 magistrati rimossi dopo il tentato golpe di metà luglio) e solo da poco è subentrato un altro magistrato nell'indagine, ma ben difficilmente si potranno ricostruire i fatti con i luoghi del delitto ormai devastati e i ranghi degli inquirenti (magistrati e poliziotti) sconvolti dalle purghe di Erdogan. Comunque, nel frattempo, le forze dell'ordine sono state dotate di una sostanziale immunità per i reati commessi in servizio.I colleghi dell'ordine di Diyarbakir hanno condotto delle proprie indagini parallele e indipendenti mettendo in evidenza tutte le incongruenze e le omissioni (volontarie o meno) dell'indagine ufficiale, ma è stato per loro difficilissimo muoversi: i luoghi divennero off limits per mesi all'indomani dell'assassinio e, come è naturale, è stato per loro impossibile anche solo avere la lista dei nominativi dei poliziotti di servizio sul posto quel giorno. Per di più oggi gli avvocati, tutti gli avvocati, si sentono minacciati dall'incalzare della vendetta di Erdogan e del suo governo, che considera gli avvocati e la loro funzione di difesa dei diritti dei cittadini un'inutile ingombro alle sue pretese autoritarie.Se è vero che al 28 di novembre del 2015 già erano chiari i segnali della svolta di Erdogan, oggi quella svolta è andata molto più in là di quanto Tahir Elci e i suoi colleghi potessero immaginare. Rendersi conto di tale quadro è un buon modo di ricordare Tahir Elci e il suo sacrificio.*Osservatore Internazionale per l'Unione Camere Penali